mercoledì 15 luglio 2009

Scioperi e proteste

Premetto che quanto segue è frutto del mio personale pensiero e la sua pubblicazione non implica che sia condiviso dagli altri amministratori di questo blog.

Puntuale come sempre, con un giorno di ritardo dico la mia sullo sciopero dei blog.
Innanzi tutto ritengo la definizione di sciopero poco calzante con la situazione venutasi a creare. Nello sciopero ci si astiene da un lavoro retribuito e non è questo il caso. Inoltre lo sciopero mira a danneggiare il “datore di lavoro”, ovvero la controparte della protesta: l'astensione dei blogger non arreca alcun problema ai legislatori. A dirla tutta, questi ultimi probabilmente non capiranno la protesta nemmeno se gliela spiegano con un disegnino.
Detto questo, spendo anche io due paroline su quelli che vengono definiti ogni volta degli attacchi all'informazione e alla libertà di parola. Libertà di parola, poi, dovrebbe essere sostituito con libertà di opinione e di espressione. Ma andiamo con ordine.
L'informazione, quella che dovrebbe avere la I maiuscola, è già sotto costante tortura: la totale assenza di regolamentazione per quanto riguarda la rete permette la propagazione delle più truci cazzate che rendono veramente arduo fare un distinguo tra cosa è credibile e fondato e cosa invece è frutto di illazioni e/o ignoranza più totale. Ma non diamo tutta la colpa ai “profani” dell'informazione: i primi ad attentare alla sua integrità sono giornali e giornalisti. Sempre più spesso ci giungono informazioni false e tendenziose, pompate e stravolte per fare maggiore notizia, per lo scandalo, per vendere più copie. I giornalisti e i giornali in grado di mantenere un contatto con la realtà e di fare marcia indietro una volta sbagliato, sono veramente pochi, pure nella carta stampata, strettamente regolamentata. Almeno in teoria. In realtà l'ordine dei giornalisti non interviene contro certi membri che ripetutamente gettano discredito contro tutta la categoria e la giustizia italiana non si muove contro i responsabili delle testate quando permettono e/o incoraggiano certi comportamenti.
Questa “impunità” rende alquanto grottesco il proliferare di leggi per regolamentare l'informazione in rete. Negli anni passati si è gridato più volte “attentato” contro certe leggi, inadatte alla realtà della rete e indicate come altamente censorie. Ricordiamo ultimamente le due proposte associate al nome Levi, una proposta dal governo di sinistra e la seconda (a malapena) riveduta del governo di destra. La legge in questione, ritenuta da molti un vero e proprio attentato alla libertà di espressione, in realtà parificava l'informazione via web a quella cartacea: una testata “accreditata” avrebbe dovuto essere iscritta ad un registro e avere una persona indicata come direttore responsabile, ovvero qualcuno che si prendeva la responsabilità per quanto veniva pubblicato. Non si trattava di quello che molti paventavano, un imbavagliare il web, ma semplicemente un fare una distinzione tra chi si assume certe responsabilità e chi no. I blog non sarebbero stati chiusi o censurati, semplicemente l'“utente” sarebbe stato in grado di distinguere tra informazione “cosciente” e quello che può essere considerato un'opinione, liberamente espressa ma per cui l'autore non si assume alcuna responsabilità (da notare come tra i promotori delle proteste si distinsero particolarmente coloro che grazie a questa mancanza di una regolamentazione sono riusciti ad avere una certa visibilità e credibilità, senza però assumersi responsabilità). Un'idea in realtà interessante, se la cosa funzionasse almeno per la carta stampata che è regolamentata in questo modo da una vita.
In realtà la legislazione attuale tutela già il cittadino nello stesso senso in cui dovrebbe tutelarlo questa nuova legge. Il reato di diffamazione esiste e consiste, in parole povere, in insulti e false accuse nei confronti di una “terza persona”. Se la diffamazione avviene tramite un mass media (e internet è considerato un mass media, dato che qualsiasi informazione pubblicata raggiunte le “masse”) scatta l'aggravante della diffamazione a mezzo stampa e da una ammenda pecuniaria e il rischio di dover anche risarcire il danno di immagine al diffamato si passa a pene detentive.
Che la nuova legge imponga di rettificare le informazioni entro un lasso di tempo relativamente breve, quindi, è di poco conto di fronte alla possibilità di finire in galera per diffamazione.
La grossa critica sensata che si muove a questa legge è che alla fine “vince” chi ha l'avvocato più grosso. Se un pinco pallino qualunque non diffama e non viola alcuna legge con i suoi articoli, ma viene contattato e minacciato di denuncia da un avvocato, sicuramente rettifica, dato che difendersi costa e nessuno gli paga le spese legali. Ma in realtà non è differente da come è ora, se uno ha un grosso avvocato può minacciare una querela per diffamazione, mentre il povero cristo si trova davanti ad un muro di gomma, di fronte a mille motivazioni per non poter avere “giustizia”.
Nonostante questa realtà, c'è chi continua in opere diffamatorie, convinto della propria totale impunità, ponendosi in realtà in una situazione “illecita”, anche se forse non se ne rende conto, sempre convinto di questa imperante libertà di parola.
E qui, su questa cosa della libertà di parola, si apre un'altra importantissima questione, tra legge, etica e morale. Innanzitutto si tratta di libertà di opinione e di espressione di tale opinione. La libertà di opinione, però, ha delle limitazioni, che riconosciamo subito quando servono per non ledere un nostro diritto, ma che dimentichiamo quando le superiamo a discapito di altri. Per capirsi, c'è la libertà di pensiero e di espressione, eppure non è concesso esprimere la propria opinione scrivendola a caratteri cubitali sulla parete di una casa altrui, o sulla facciata della basilica di Sant'Antonio o marchiandola a fuoco sulle natiche del nostro vicino di casa. Allo stesso modo, la libertà di opinione non può essere espressa violando le altre leggi in vigore, dalla legge della privacy a quella sulla diffamazione. Questo sarebbe meglio non dimenticarselo, ma troppo spesso la parola “libertà” ci monta la testa e il poterla invocare a membro di segugio ci fa sentire come William Wallace sul tavolo del supplizio finale.
Ma oltre alla forma dell'espressione del pensiero, che tratta più un aspetto strettamente legale che altro, c'è il contenuto stesso del pensiero, l'opinione. Se l'opinione è contraria alle leggi vigenti, può essere espressa in maniera lecita? Meglio ancora, si può avere un'opinione in contrasto con le leggi vigenti? Sì, no, boh, è peggio del far west. Molta parte la fa la morale, l'etica e, perché no, il perbenismo del politically correct. Ma mi spiego con un esempio.
Ritenere un'etnia geneticamente superiore ad un'altra, è un'opinione. Esprimerla andando a randellare extracomunitari a caso, non è concesso. Esprimerla tramite un blog non viola alcuna legge (almeno per ora). Viene ritenuto inaccettabile esprimere questa opinione, chi la esprime dovrebbe vergognarsi e gli si dovrebbe togliere la possibilità di pubblicare simili affronti (tranne, naturalmente, quando la persona in questione è un complottista che dà contro i banchieri ebrei che stanno dietro al nuovo ordine mondiale). Anzi, ci si spinge a dire che queste persone dimostrano di essere un gradino evolutivo sotto agli altri esseri umani. Anche questa è un'opinione, non molto dissimile a quella razzista ipotizzata precedentemente, eppure... è moralmente accettabile e nessuno pretenderà che chi lo sostiene venga privato dell'opportunità di esprimere certe opinioni.
Questo è solamente un esempio di quali sono i limiti che consideriamo censori e quali sono quelli che consideriamo leciti, il tutto in maniera soggettiva, ma potrebbero essercene tanti altri. Basti pensare a qualsiasi opinione possiamo considerare “aberrante” anche se espressa nella maniera più lecita possibile e a come siamo disposti, invece, a passare sopra a espressioni di dubbio gusto e dubbia legalità per quanto riguarda opinioni che condividiamo o che riteniamo accettabili.

Questo pistolotto privo di capo e coda spero possa spingere il lettore a riflettere su cosa chiamiamo censura e su quali sono i limiti leciti nell'espressione della propria opinione e su come questi aspetti possano essere soggettiva e, talvolta, nettamente ipocriti. Se non ottiene questo risultato, poco importa: mi avanzava un gigabite di watt e non sapevo come consumarlo e mi seccava buttarlo via.

Cosa volevo dire? Non lo so, ma ho ragione e i fatti... mi cosano!

6 commenti:

  1. Oh, ma proprio oggi...?
    Nel senso che non ho tempo io, non per altro.

    Per farla breve, quoto il pistolotto sul concetto di libertà e su quello di censura, spesso distorti ad uso e consumo della nostra personale visione morale del mondo che ci circonda.

    Hai però girato intorno al nocciolo della questione che ha infiammato gli animi su questa legge: i termini estremamente ridotti per le eventuali rettifiche.
    Io bloggher microscopico o tu bloggher, puoi garantire di non mancare mai per 48 ore di fila dalla tastiera del pc?

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  2. eebbbbrravvooooooo il Tripponzio grafomane :-)

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  3. 48 ore o 5 giorni, in realtà il limite temporale è una cagata pazzesca. c'è sempre il problema se dall'invio o dalla ricezione della comunicazione. se io ti mando la richiesta per posta ordinaria giovedì pomeriggio, non posso pretendere che entro sabato tu rettifichi se non ti è arrivata la comunicazione. è l'esempio della legge fatta a membro di segugio, solamente per mettere in crisi il giudice che la applica.

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  4. Ti sei bevuto un pintone di morgelloni?
    Per sbaglio voglio sperare.

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  5. ho dimenticato il bidone per far fermentare la birra aperta mentre irroravano e quindi ora ho la birra morgellonica.
    il gusto ci ha guadagnato.

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